Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i numerosi incarichi, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008- 2012) e a Pechino ( 2013- 2015). E’ attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea
Il sistema nel quale viviamo si è scoperto di colpo vulnerabile come mai avrebbe immaginato davanti a una calamità che ha messo in ginocchio i sistemi sanitari, la libertà, la sicurezza dei cittadini e l’economia, mentre il mondo della politica è colto di sorpresa, e si muove incerto e confuso.
La presidente della Commissione Europea Von der Layen, tentando di copiare in modo grottesco il John Kennedy del 1963, ha venerdì scorso affermato: cari italiani, in Europa in questo momento siamo tutti italiani. Non so quanti le abbiano creduto. Molti, soprattutto gli speculatori, hanno invece creduto alle parole della presidente della Banca Centrale Europea (Bce) Christine Lagarde, la quale poco prima con un’altra battuta aveva affossato le borse di tutto il mondo. Tuttavia, a dispetto della successiva smentita, quelle parole non hanno però scalfito l’ottusità tedesco-lagardiana: a dispetto della grave congiuntura economica con la quale siamo confrontati la Bce si limiterà ad assicurare liquidità alle banche – invece che ai governi che investirebbero sui cittadini – e a contenere il fantasma inesistente dell’inflazione, invece di far ricorso ai lumi di J.M. Keynes, un gigante mai venerato a sufficienza, davanti al quale gli attuali custodi del condominio Berlino/Francoforte/Bruxelles spiccano solo per cecità e cupidigia. Una volta passata l’emergenza che avrebbe fatto saltare il tappo, si tornerà dunque ai lucubri parametri di Maastricht.
La Lagarde tuttavia è solo il sintomo, la malattia è nel sistema di rapporti economico-sociali che i trattati europei hanno disegnato sulle priorità del profitto e della mercificazione della vita umana (un’economia di mercato fortemente competitiva, secondo il lessico delle sacre scritture euroinomani). A tale patologia si somma poi il pesante deficit di democrazia di istituzioni dove i cittadini europei sono considerati ormai solo consumatori o lavoratori-precari. La tecnostruttura europea si basa su un nugolo di funzionari con stipendi fiabeschi, al servizio delle multinazionali, che imbeccano una manciata di altri funzionari (la non-eletta Commissione Europea) i quali preparano leggi che, dopo un breve passaggio al Parlamento europeo (privo di potere di iniziativa legislativa), vengono varate dal Consiglio (i 27 governo possono decidere a maggioranza, sempre e solo se i tedeschi son d’accordo). Tutti i popoli europei e i governi periferici (Italia è tra questi) sono dunque legalmente asserviti a una struttura agli ordini della monarchia finanziaria tedesco-centrica che controlla da vicino Commissione e Bce. Anche Draghi, pur di gran lunga migliore della Lagarde, non è stato che il puntellatore di un’impalcatura malata e irriformabile.
Dopo aver devoluto alla tecnopatologia europea la sovranità monetaria (che nulla ha a che vedere con sovranismo/nazionalismo), abbiamo quindi affidato la gestione della nostra moneta a un’entità extra-nazionale che non risponde ad alcun governo democratico, e tantomeno a un Parlamento democratico, ma solo ai mercati (il profitto) e alle élite dominanti (Germania e satelliti). In un momento tragico come questo i nostri cosiddetti partner ci negano persino le mascherine, frantumando ogni frammento di solidarietà che pure riempie le pagine dei trattati, per di più senza che si levi in Italia alcuna vera ondata di indignazione.
In una tragica circostanza, dunque, l’Italia si scopre sola e abbandonata a far fronte a una montagna di problemi. I fedeli del culto europeo ci spiegheranno ancora una volta le ragioni di tale abbandono, ma ormai son sempre più numerosi i cittadini consapevoli, e prima o poi saranno la maggioranza.
D’altra parte, se il momento più buio della notte è quello che precede l’alba, all’Italia si offre un’occasione preziosa, che non si ripresenterà per molti decenni a venire (salvo forse un nuovo virus). Il leviatano europeo è oggi vulnerabile ed è dunque possibile sferrare il colpo decisivo, con l’obiettivo di ricostruire quello Stato che ha subito un costante smantellamento a partire dal Trattato di Maastricht (1992) e la cui presenza è oggi invocata dai cittadini italiani con tutto il fiato che hanno in corpo.
Lunga è l’elenco delle cose da fare per dare lavoro a disoccupati e precari, rafforzare gli apparati pubblici, creare lavori stabili, infrastrutturare il Sud e così via, che l’elenco riempirebbe questo giornale. Solo il pensiero unico degli economisti mainstream (smentiti dalla storia e dall’evidenza) ripete a campana che l’enorme debito pubblico impedirebbe tutto ciò. In verità, il debito pubblico non rappresenta un ostacolo in un paese sovrano della moneta e che dispone di un’enorme riserva di lavoro come l’Italia. E in fondo, non è necessario preconizzare il congedo dall’euro, ipotesi – ci dicono – che farebbe tremare i mercati, soprattutto quelli nordeuropei. Qualcosa però si potrebbe fare, anzi molte cose, tranne l’inerzia. Molti studiosi hanno già esplorato alcuni terreni: ad esempio l’emissione di CCF (certificati di credito fiscale), di minibot oppure di biglietti di stato a corso legale senza debito, sulla falsariga delle 500 lire di Aldo Moro negli anni ’60-’70 (tutte iniziative per di più rispettose delle norme europee). Le technicalities per una corretta gestione di tali passaggi sono state studiate da ottimi economisti di vario orientamento e nazionalità. Gli ostacoli da superare sono invero altri, e tutti nella testa della nostra classe dirigente. Il primo è l’inquietudine per le possibili reazioni Ue, la quale potrebbe sospettare che l’Italia si stia incamminando surrettiziamente verso l’uscita dall’eurozona; il secondo è rappresentato dalla burocrazia italiana del Ministero dell’Economia e Finanze da sempre inspiegabilmente allineata al mantra tedesco-europeista; il terzo e più importante è di natura psicologica, riconoscere che le speranze riposte da gran parte dei politici, economisti, intellettuali e accademici nell’euro e in quella ircocervica struttura che chiamiamo Unione Europea, sono state mal riposte. Gli umani commettono errori e noi umani siamo. Solo i saggi possiedono l’energia morale per prenderne atto. Gli storici futuri collocheranno tra i giganti della storia coloro che oggi avranno il coraggio di agire, anche se i contemporanei dovessero perseguitarli.
Vladimir Ilyich Ulyanov, uno dei grandi rivoluzionari di tutti i tempi, affermava che per raggiungere qualsiasi traguardo, rivoluzioni comprese, occorrono tre ingredienti: leadership, risorse e una strategia. Ecco, in qualche maniera, questo è il momento di trovarle.
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